RIFLESSIONI SUL LIEVITO MADRE AL TEMPO DEL CORONAVIRUS
RIFLESSIONI SUL LIEVITO MADRE AL TEMPO DEL CORONAVIRUS
Fonte Foto: Antonino Rampulla
Scagli la prima pietra chiunque non abbia mai impastato (almeno la propria prima volta in assoluto…) alla penem canis, scaricando un intero cubetto da 25 grammi di lievito di birra in mezzo chilo di farina, come se avesse dovuto far lievitare anche la ciotola … E dopo un paio d’ore (miracolo!) ritrovarsi a sgranocchiare con difficoltà il biscottoso o gommoso risultato chiedendosi perché non ricordasse nemmeno lontanamente una pizza...
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Il “problema” è che, come già più approfonditamente spiegato riguardo alla fantomatica autolisi, se la lievitazione avviene più rapidamente della sintesi proteica, quell’impasto perde di edibilità e diviene più indicato per utilizzi alternativi, ad esempio come colla…
La lievitazione non è l’unico processo chimico e microbiologico che avviene in un impasto ma certamente è tra i più importanti. E se alle soglie della “fase seconda” del lockdown a causa del covid-19, è ancora più facile trovare il famoso ago nel pagliaio (per poi far passare un cammello nella sua cruna) che del lievito di birra fresco nel reparto frigo di un supermercato, bisogna industriarsi. Io ho fatto così: farina, acqua (60% rispetto alla farina), una briciola di lievito di birra che avevo da tempo congelato e tanti saluti alle mamme-pancine che hanno fatto incetta di quintali di lievito di birra. In buona sostanza mi sto coltivando il saccharomyces cerevisiae in una sorta di pasta madre, che qui in Sicilia veniva dai nonni chiamata criscenti. Funziona, ma non è il lievito madre. O forse sì?
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Cos’è il lievito madre?

Teoricamente è un impasto di acqua e farina contaminato “spontaneamente” dai lieviti endogeni della farina. Di fatto, l’ambiente in cui si “opera” (manine laboriose comprese) apporta involontariamente lieviti esogeni. Ogni rinfresco (ossia l’aggiunta di nutrienti, nella fattispecie acqua e farina, generalmente per ripristinarne la quantità originarie) introduce variabili imprevedibili nell’impasto, favorendo o sfavorendo la sopravvivenza di determinate specie di lieviti e batteri. Data la frenetica attività metabolica di chi lo abita, coltivare del lievito madre ha senso se si prevede di utilizzarlo con una certa frequenza (ad esempio almeno un paio di volte a settimana).

Il ruolo dei lieviti

I lieviti sono funghi (phylum ascomycota) che, tra i 4 e i 45 gradi Celsius (più rapidamente tra i 20 e i 30 gradi), avviano processi metabolici (ossia mangiano, si riproducono e muoiono). Il fatto che il saccharomyces cerevisiae (ossia il comunissimo lievito di birra) riesca a duplicarsi non prima di un’ora e mezza dall’inizio dell’attività metabolica, rende poco plausibili quelle ricette in cui si sostengono tempi di lievitazione sotto l’ora e mezza…
L’azione metabolizzante dei lieviti è agevolata dall’idrolisi (attivata dal contatto con l’acqua delle amilasi e dalle diastasi, enzimi presenti nella farina) che scinde le più complesse molecole d’amido (che è un carboidrato polisaccaride) in più semplici monosaccaridi (ad esempio glucosio e fruttosio) e disaccaridi (ad esempio maltosio, saccarosio e lattosio). I lieviti, in particolare il saccharomyces cerevisiae, sono in grado di sopravvivere sia in ambiente aerobico, “respirando” ossigeno, sia in ambiente anaerobico. In seguito al rapido esaurimento di ossigeno presente nell’impasto, l’attività dei lieviti comincia a convertirsi in fermentazione (nel caso del saccharomyces cerevisiae, alcolica) modalità metabolica mediante la quale i lieviti ricavano energia da molecole organiche in ambiente anaerobico. Gli zuccheri (monosaccaridi e disaccaridi) sono scissi dai lieviti prima in acido piruvico e poi, una parte, in etanolo. La rimanente parte di acido piruvico, ossidato dalle poche molecole di ossigeno rimaste nell’impasto, si trasforma in anidrite carbonica. La lievitazione, ossia il rigonfiamento dell’impasto, è dovuto all’immagazzinamento di etanolo e anidrite carbonica fra la maglia glutinica dell’impasto. L’etanolo presente nell’impasto, evaporerà poi durante la cottura.

Il ruolo dei batteri

Un impasto equilibrato ospita, in quantità cento volte superiore rispetto ai lieviti, batteri, in particolare lactobacilli . L’attività metabolica dei batteri avviene in ambiente essenzialmente anaerobico: procede tramite la fermentazione (nel caso specifico dei lactobacilli, fermentazione lattica e non alcolica come per i lieviti) di monosaccaridi e disaccaridi ossidati, generando acido lattico e acetico. La sintesi di tali acidi provoca l’acidificazione dell’impasto, rendendolo (entro un certo limite) più gustoso. Tuttavia la presenza nell’impasto di acido lattico rende la maglia glutinica più elastica, la presenza di acido acetico concorre a migliorare il sapore dell’impasto ed entrambi entrano in gioco, insieme agli zuccheri, nella reazione di Maillard (ossia la creazione della crosta, durante la cottura, che avviene tra 140 e 180 gradi Celsius): la loro completa sintesi non è quindi auspicabile.
Da tenere in considerazione che impasti molto idratati, lunghi tempi di “lievitazione” (tra 24 e 48 ore) e alte temperature (tra 30 e 40 gradi Celsius) favoriscono lo sviluppo dei lactobacilli a scapito dei lieviti, quindi una produzione più importante di acido lattico rispetto all’acido acetico. Impasti meno idratati e fatti “lievitare” a relativamente basse temperature (tra 25 e 30 gradi Celsius) favoriscono invece la crescita dei lieviti e la predominanza di lactobacilli eterofermentanti obbligati, cui consegue invece una più elevata presenza di acido acetico.
Il metabolismo dei batteri è rallentato da una percentuale di sale superiore all’1,5 del peso totale dell’impasto; è invece agevolato dalla presenza di ossigeno. Altra funzione dei batteri lattici è la proteolisi che apporta maggiore digeribilità alle proteine (ma anche, di conseguenza, un indebolimento del glutine).
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Differenza tra lievito madre, “criscenti” e lievito di birra

Il saccharomyces cerevisiae non solo può naturalmente essere già presente nella farina, nell’ambiente e nelle stesse mani dell’operatore ma è presente sulla superficie di molti frutti tra cui, in particolare, l’uva. L’idea di stimolare la fermentazione dell’impasto tramite frutta o crusca, aumenta la possibilità di incrementarne la presenza. In altre parole, solo in ambiente totalmente e permanentemente asettico, tramite un’attenta selezione degli ingredienti e l’innesco di una coltura di lieviti specifica, potrebbe essere possibile escludere del tutto dal lievito madre il saccharomyces cerevisiae. Nel lievito madre (o lievito naturale o pasta madre) avviene sia una fermentazione lattica, sia una fermentazione alcolica e non esclusivamente lattica come si è portati erroneamente a credere per distinguerlo dal lievito di birra. Nel criscenti (o pasta di riporto) è inizialmente ipotizzabile una maggiore presenza di saccharomyces cerevisiae rispetto alla pasta madre, ossia subito dopo che vi sia stato appositamente inoculato. Tuttavia poiché anche il criscenti è composto di acqua e farina, la presenza di lactobacilli è fisiologica. Già dal primo rinfresco che, come dicevamo, altro non è che l’aggiunta di nutrienti, ossia acqua e farina, viene stravolta la flora microbica del lievito madre. Ne consegue che nessun lievito madre può considerarsi uguale a un altro, sebbene realizzato con i medesimi ingredienti, nello stesso identico momento ma in ambienti diversi. Ne consegue che potenzialmente, dopo ad esempio un mese, l’originario equilibrio tra specie di funghi e batteri possa risultare radicalmente stravolto e che nuove specie possano essere state apportate dai rinfreschi. Rispetto a quale parametro oggettivo ci si dovrebbe quindi riferire per distinguere la pasta madre dal “criscenti”? L’unica certezza è che l'ambiente acido riduce la possibilità di contaminazione da parte di specie fungine e batteriche non acidofile, ossia gran parte delle specie patogene per l’uomo. Né il lievito madre, né il criscenti sono sistemi isolati e isolabili. Parlare di longevità pluriennale di un lievito madre è un nonsense logico poiché l’intera “popolazione” di batteri e lieviti cambia quasi completamente nell’arco di un paio di mesi.
Altro discorso vale per il lievito di birra fresco che altro non è che una colonia di saccharomyces cerevisiae, generata dalla fermentazione della melassa (liquido ricavato dalla centrifugazione della barbabietola da zucchero) con malto d’orzo. La differenza tra il lievito di birra fresco e il lievito di birra essiccato è che in quest’ultimo gli enzimi (in soldoni, le sostanze che permettono ai lieviti di procedere metabolicamente per fermentazione, quindi di far lievitare l’impasto) si riattivano solo al contatto con l’acqua.

Considerazioni finali

Al fine di ottenere un buon impasto bisogna tenere essenzialmente in considerazione che la sua maturazione (che informalmente distinguiamo rispetto alla lievitazione poiché quest’ultima riguarderebbe in senso stretto l’esclusiva azione dei lieviti) riguarda i processi metabolici di lieviti e batteri: lo squilibrio della loro azione comporta difetti d’impasto il più delle volte irreversibili. Ad esempio, aggiungere pochissimi grammi di lievito di birra fresco in un chilo d’impasto (anziché un panetto intero) lascia spazio e tempo all’azione batterica, che abbiamo visto essere ugualmente importante. Chiaramente non si potrà impastare nel tardo pomeriggio e infornare la stessa sera… È altresì vero che le tanto pubblicizzate lunghe lievitazioni possono anche essere sinonimo di prodotti per cui bisognerebbe chiedersi se valga la pena accendere il forno… Poiché la completa sintesi degli zuccheri comporta innanzitutto la non riuscita della reazione Maillard oltre a compromettere il sapore dell’impasto. Inoltre l’iper-sintesi delle proteine può, come già detto, indebolire resistenza ed elasticità della maglia glutinica, la quale è essenziale per lo sviluppo dell’alveolatura. Concludo ponendo l’accento che l’alveolatura non è affatto una mera scelta stilistica o estetica ma ottimizza la diffusione del calore nell’impasto durante la cottura, cosicché avvenga la gelatinizzazione dell’amido nei tempi necessariamente brevi per ottenere un buon prodotto.
Fonte Testo: Antonino Rampulla
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